Il Borgo e le sue leggende
Il castello di Treschietto situato a 455 metri di altitudine ed oggi
ridotto a rudere è stato un'importante roccaforte a strapiombo su una
vallata circondato dai torrenti Acquetta, Bagnone e Tanagorda. La sua
importanza era legata alla sua posizione strategica come punto obbligato
di passaggio tra i corsi d’acqua e le valli circostanti attraversabile
esclusivamente da via mulattiere tramite due ponticelli con arco a tutto
sesto in pietra arenaria. Il castello fu edificato da Giovanni Malaspina
detto il Berretta che lo utilizzò come sua residenza.
Il territorio si componeva del capoluogo e delle ville di Agnola,
Corlaga, Finale, Iera, Leorgio (Leugio), Palestro, Stazzone e Vico ma in
seguito a divisioni ereditarie Corlaga, Iera e Vico divennero feudo
autonomo. Nel 1698 il feudo fu venduto dal marchese Ferdinando Malaspina
al granduca Cosimo III, per poi essere ceduto in seguito al principe
Corsini di Firenze. Nel 1800 fu occupato dai Francesi e nel 1814 unito
agli Stati Estensi della Lunigiana. Dal 1805 al 1849 fu sede di Comune
finendo poi aggregato al Comune di Bagnone.
In un primo tempo la chiesa adiacente al castello era piuttosto
considerata una cappella feudale dedicata a Sant'Antonio da Padova e non
risulta tra quelle che a quei tempi corrispondevano le decime alla
Diocesi di Luni. La prima notizia storica che menziona Treschietto come
chiesa soggetta a Luni è datata 7 maggio 1568, giorno della visita
pastorale del cardinale Lomellini, si presume sia coincisa la
consacrazione della nuova chiesa parrocchiale, dedicata a San Giovanni
Battista. Nella descrizione del cardinale è pure menzionato anche
l’oratorio dei Santi Rocco e Caterina, di cui non rimane nulla ad
eccezione di alcuni quadri che sono conservati nella chiesa parrocchiale
recentemente restaurata e ricca di quadri e statue di importanza storica
ed artistica.
Fino al 1950, anno di apertura della odierna strada carrozzabile, il
borgo è stato praticamente inaccessibile.
I ruderi del castello sono costituiti da ciò che resta della cinta
muraria di forma quadrilatera e dalla slanciata torre circolare ridotta
ad un rudere da un fulmine ma un tempo coronata da merlatura e apparato
difensivo a sporgere retto da beccatelli, dei quali restano alcune
tracce. Gli edifici interni sono stati ricoperti dai crolli delle
strutture difensive e ne restano poche tracce, così come della cappella
castrense della quale è identificabile ormai solo l'abside. Una
sacralità antica risiede nella '”Venere di Pietra” di Treschietto una
statua-stele femminile , trovata nel 1969 non lontano dai ruderi del
castello, che porta frontalmente un monile a goliera formato da anelli a
bande parallele sullo stile degli amuleti metallici in uso nella prima
fase dell'età del Bronzo.
Come per tutti i castelli anche in questo non mancano le leggende
tramandate di generazione in generazione tra cui quella del marchese
Giovan Gasparo Malaspina che dal 1616 vessò i suoi sudditi con ogni
sorta di male azioni e si coprì di turpitudini sino al 1678, quando
all’età di 62 anni, con grande sollievo del popolo, morì, non certo in
odore di santità; veniva infatti chiamato dalla gente il mostro. Giochi
perversi e giovani vergini era il binomio lussurioso preferito da Giovan
Gasparo Malaspina, signore di Treschietto e dai suoi compari. Le vittime
erano obbligate da questi signorotti a crudeli orge che spesso
terminavano con sacrifici umani. Il Giovan Gasparo godeva nel
costringere le fanciulle del suo borgo ai festini dove le giovani
perdevano la verginità. Un’altra leggenda tramandata narra che nei
sotterranei del Castello vi sia stato nascosto un vitellino d’oro; in
molti vi hanno nei secoli creduto al punto arrivare a distruggerne le
parti migliori, ma come accade in tutte le leggende, il tesoro non è mai
stato trovato.